Dal 1971 ad oggi allestisce numerose mostre personali in varie Gallerie d’arte, fra cui Galleria Pater, Milano (1971), Galleria Ciovasso, Milano (1977-1981-1983-1986-1987-1996-1997-2002), Galleria La Firma, Riva del Garda (1985), Galleria San Paolo, Bologna (1987-1992-1997), Università degli Studi, Pavia (1985), Galleria Delfino, Rovereto (1989), Galleria La Fenice, Sassari (1991-1992-1993-1995), Galleria Forme dell’Arte, Chiavari (1998), Galleria Armanti, Varese (1999-2001), Centro d’Arte Villa Gropallo, Genova (1999).
Partecipa inoltre, su invito, a importanti Rassegne d’Arte in varie città d’Italia e all’Estero.
Tra la più significativa bibliografia si segnala:
Franco De Faveri, “La colpa dell’Angelo”, Galleria Ciovasso, Milano, 2002; Rossana Bossaglia, “I simboli di Van Gogh”, Galleria Ciovasso, Milano, 2001; Rossana Bossaglia, Quaderni artistici Galleria Armanti, Varese, 2001; Maria Censi, Curzia Ferrari, Barbara Passarini, “Emozioni Belliniane nella pittura contemporanea”, Museo Sandro Parmeggiani, Renazzo (Ferrara), 2001; Giorgio Seveso, “L’Arte e le dittature”, Galleria Ciovasso, Milano, 2000; Maria Censi, Franco Fanelli, Alfonso Panzetta, Barbara Passarini, “Natura Morta (con frutta)”, Museo Sandro Parmeggiani, Renazzo (Ferrara), 1999; Renato Valerio, Quaderni artistici Galleria Armanti, Varese, 1999; Renato Valerio, Contro-Corrente, Milano, 1999; Renato Valerio, Archivio delle Arti, Mantova, marzo 1999; Giorgio Seveso, “Casoli Pinta”, Archivio delle Arti, Mantova, novembre, 1998; Giorgio Seveso, “Un sentimento lirico della realtà”, Galleria Forme dell’Arte, Chiavari, 1998; Mario De Micheli, “I nostri giorni difficili”, Galleria Ciovasso, Milano, 1995; Gianni Pre, “Il lessico familiare di Antonio Tonelli”, Galleria La Fenice, Sassari, 1993.
L’albero della libertà
L’albero della Libertà è un omaggio alla Rivoluzione francese e quindi al concetto di libertà, fraternità e uguaglianza. I simboli del lavoro umano, nelle sue forme del lavoro contadino (di cui sono emblemi la falce e il bastone per trebbiare) e del lavoro industriale (il martello), all’occasione possono diventare armi non convenzionali usate per la circostanza dal popolo che normalmente è inerme. Il berretto frigio è l’unico simbolo propriamente rivoluzionario che chiarisce quindi semanticamente il significato dell’opera.
Ha senso riproporre questo simbolo dopo più di duecento anni? Credo proprio di sì, perché è importante mantenerne vivo l’impulso e la forza vitale per contrastare in ogni epoca eventuali rigurgiti di pericolosi totalitarismi, proponendo sempre il principio di sovranità del popolo sopra ogni altro potere.
Antonio Tonelli